Come e perché l’inflazione sta mettendo in difficoltà l’intero Occidente

11.10.2022

Come e perché l’inflazione sta mettendo in difficoltà l’intero Occidente e perché i dati apparentemente positivi dell’ultimo anno potrebbero trarre in inganno, spingendo a sottostimare i rischi imputandoli ad un eccessivo allarmismo economico
Guardando all’economia e facendolo a livello globale, nella prima metà dell’anno gli utili delle aziende hanno positivamente sorpreso gli analisti. Più di un’azienda su due, tra quelle quotate in borsa, ha superato le aspettative, nonostante le stesse fossero riviste al ribasso a causa del perdurare del conflitto in Ucraina con tutto ciò che ne è stato conseguenza : dall’interruzione di molte catene di approvvigionamento all’aumento dei costi di energia e materie prime fino alla carenza di semiconduttori a causa degli strascichi dei  più recenti lockdown in Cina.
Incredibilmente, a sorprendere maggiormente è stata proprio l’Europa.
Infatti, nonostante il maggior coinvolgimento - quantomeno geografico - nelle vicende russo-ucraine, se si va a guardare l’Earnings per share[1] (EPS)[2], a fronte di un aumento del 18,5% europeo, troviamo un incremento del solo 2,1% Oltreoceano, dimostrando come in Europa si sia riusciti incredibilmente a meglio assorbire i costi di produzione rispetto alla controparte statunitense.
Certo con sostanziali differenze tra i diversi settori.
Agli estremi, da una parte energia e trasporti, che hanno visto i ricavi crescere in modo esponenziale (rispettivamente +62,3% e +31,5% a livello globale). Dall’altra l’automotive, che più di ogni altro settore, specialmente nel Vecchio continente, ha sofferto la carenza di semiconduttori e ha registrato un calo pari all’11,6% sullo stesso periodo dell’anno precedente. Oltreoceano, a soffrire molto anche il settore delle telecomunicazioni, che a causa di una concorrenza molto spinta, non ha potuto traferire l’aumento dei costi sul consumatore finale.
Tuttavia, se i dati illustrati fin qui sembrano prospettare tempi rosei in realtà, come noto, non è tutto oro quello che luccica, anzi. Le previsioni a breve termine ipotizzano un corposo deterioramento dei risultati nella seconda parte del 2022 a causa di un importante aumento dell’inflazione e di una conseguente politica monetaria restrittiva nonché di un rallentamento dei consumi. Ciò ancor più negli Usa dove tale processo, anche per via del rafforzamento del dollaro, è già in corso da tempo.
Quanto detto, in aggiunta alle tensioni geopolitiche in Europa e in Oriente, sta peggiorando in modo sensibile il sentiment delle imprese.
E se è pur vero che la disponibilità liquida di molte società ha raggiunto nuovi massimi nella prima metà del 2022, arrivando fino al +30% rispetto al 2019 nell’Eurozona, è altresì vero che parte di questa liquidità deriva da prestiti bancari contratti dalle stesse a scopo difensivo. Di fatto, le variazioni delle posizioni di cassa nette, misurate dalla differenza tra depositi delle NCF[3] e nuovi prestiti, hanno rallentato notevolmente dal 2020 al 2021 e di nuovo nel primo semestre 2022. Per i primi cinque mercati dell'Eurozona, lo slancio è sceso al 2% nel primo semestre 2022, al 7% nel 2021 e al 14% nel 2020. Il risultato è simile per il Regno Unito (1%, 14% e 19%, rispettivamente) e leggermente peggiore per gli Stati Uniti (0%, 6% e 23% rispettivamente). Per la maggior parte dei Paesi, ciò significa che l'aumento dell'attività economica ha già iniziato a generare un minore aumento delle posizioni di cassa. In effetti, l’indice di cash-burning[4] è diventato negativo nel primo semestre 2022 nel Regno Unito e in Germania e ha confermato la svolta negativa iniziata nel 2021 in Francia, Spagna, Paesi Bassi e Stati Uniti[5].
Questo “bruciare liquidità” da parte di molte aziende è un fenomeno strettamente correlato all'aumento da parte delle stesse di capitale circolante, a sua volta dipendente dall'aumento dei prezzi dei fattori produttivi in primo luogo e poi in misura minore, ma comunque rilevante, dalla strozzatura di determinate catene di approvvigionamento. I dati degli analisti riportano come nel 2022 le scorte delle aziende siano aumentate progressivamente, causando un aumento del WCR[6]del 66% in Europa e addirittura del 75% negli Usa. Attribuibile in parte anche ad un fisiologico timore che ha modificato i comportamenti di pagamento sui crediti (DSO) causando, in molti casi, un aumento di tale indice e un’esposizione maggiore delle aziende con i propri clienti.
Inoltre, l’attuale clima finanziario ha portato inevitabilmente ad un aumento dei tassi di interesse, e quindi delle spese relative per le aziende. Nei primi due quarti dell’anno gli interessi passivi hanno subìto un rapido aumento per la totalità delle principali economie dell’Eurozona, con picchi elevati per settori strategici quali metallurgia, elettronica, tessile e hotel, questi ultimi due molto importanti nell’economia Italiana.
Riassumendo, la maggior parte delle aziende che, a partire dal 2020, ha subìto la pandemia, ha in seguito beneficiato del rilascio della domanda repressa, trend ora in esaurimento. Il che sta portando le aziende verso l’esaurimento della liquidità, anche di quella procuratasi tramite indebitamento, costringendole ad aumentare la propria leva finanziaria.
Questo anche, e soprattutto, a causa di un aumento inflazionistico come non si registrava da quasi quattro decenni e un conseguente aumento dei tassi di interesse, con un relativo aumento dei costi di rientro dall’indebitamento e dei connessi costi per il rientro stesso. Una simile situazione rischia, a brevissimo termine, di mettere in grande difficoltà l’industria europea, e con essa quella italiana, soprattutto in settori molto energivori, ampiamente presenti nella Penisola.
In conclusione, tutto ciò potrebbe spingere molte aziende a selezionare i fornitori a cui saldare in modo prioritario le fatture, facendo sì che quelli penalizzati finiscano per non riuscire a loro volta ad onorare gli impegni con i propri.
Tutto ciò darebbe il via ad una potenziale catena di insoluti che potrebbe compromettere gli affari di coloro che operano senza un’adeguata copertura assicurativa sui propri crediti. Certo bisognerà tenere conto che, trattandosi di incognite comuni alla quasi totalità del mercato occidentale, è probabile che verranno messe in campo soluzioni atte a tamponare, ad esempio, il costo dell’energia tramite un tetto fissato sul prezzo.
Tuttavia è anche vero che contare solo su soluzioni esterne, perlopiù spesso temporanee, potrebbe non essere la migliore protezione per gli affari delle aziende. Queste ultime dovrebbero infatti, oltre ad adottare un atteggiamento di cautela, pensare di proteggere la propria liquidità dal suo peggior nemico, l’insoluto, stipulando una o più polizze su fatturato e singole operazioni. In tal modo si otterrebbe una soluzione strutturale indipendente da scelte o interventi governativi.
 
 
[1] Refinitiv Eikon, al 30 agosto 2022, Allianz Research
[2] L'utile per azione (EPS) è calcolato come l'utile di una società diviso per le azioni emesse dalla stessa e in circolazione. Il numero risultante serve come indicatore della redditività di un'azienda.
[3] NCF: settore delle società non finanziarie, costituito da operatori di mercato la cui attività principale è la produzione di beni e servizi non finanziari.
 
[4] L'indice di combustione del contante, calcolato a livello di Paese, è la differenza di tempo tra la variazione dell'attività (utilizzando il PIL nominale come proxy) e la variazione della posizione netta di contante (quest'ultima misurata dalla differenza tra i depositi delle SNF e i nuovi prestiti delle SNF). Una cifra negativa indica un periodo di combustione della liquidità, mentre una cifra positiva indica un periodo di accumulo di liquidità.
[6] capitale circolante netto