La pressione sui tassi d’interesse schiaccia i profitti delle aziende e fa volare gli insoluti

09.11.2022

Crisi economica, Brexit, pandemia, guerra in Ucraina. Tutti eventi che, in un modo o nell’altro, hanno scosso e influenzato l’economia dell’Ue e non solo, spesso portando ad un aumento del debito pubblico per aiutare le imprese o anche solo per sostenere la spesa della macchina statale.
Tutto ciò non è sembrato essere un problema di grande rilievo in questi ultimi anni, almeno non al punto da mettere seriamente a rischio il tessuto socio-economico delle principali economie dell’Eurozona, dovuto al fatto che tassi d’interesse bassi, spesso in discesa, rendevamo meno onerosi livelli di debito elevati e in continua crescita.
Purtroppo le carte in tavola stanno cambiando più rapidamente di quanto si potesse prevedere.
Infatti, man mano che la BCE aumenta inevitabilmente i tassi di interesse al fine di combattere un’inflazione straripante, le dinamiche del debito sovrano si deteriorano in modo significativo. Quindi ci si troverà a fare i conti con una politica monetaria sempre più restrittiva, che costringerà i governi Ue a muoversi in modo “pericoloso”, in equilibrio sulla linea che separa l’estensione del sostegno fiscale e l’esaurimento di quello che è l’eventuale spazio fiscale[1] disponibile. I mercati sono in trepidante attesa della ormai prossima pubblicazione dei bilanci da parte dei governi dell’Unione. Per ora, basandosi su quanto anticipato a riguardo dagli stessi, sembrerebbe paventarsi un forte sostegno alla crisi anche per il 2023. Ovviamente il rischio è quello di ritardare l’aggiustamento fiscale e quindi il conseguente, e atteso, calo dei disavanzi di bilancio in quasi tutte le grandi economie dell'Eurozona.
Alla luce di ciò, emerge come le maggiori economie faranno fatica a ridurre l'elevato debito pubblico, continuando ad erogare aiuti di Stato. Infatti, il rapporto debito pubblico/PIL, almeno in Francia, Italia e Spagna è destinato ad aumentare. Solo la Germania, stando alle previsioni, si mostrerà capace di portare il suo rapporto debito/PIL al di sotto della soglia del 60% entro il 2028. L'aumento dei costi di rifinanziamento aumenterà la pressione sulla sostenibilità del debito, ad esempio per quanto riguarda il nostro Paese.
Provando ad immaginare che sia il rapporto debito/pil che la scadenza media del debito pubblico rimangano costanti nei prossimi anni, un aumento continuo del livello di tassi di interesse porterebbe gli interessi passivi in relazione al Pil all’esagerata percentuale del 3% ben prima dei prossimi dieci anni. Ciò vuol dire che un paese vulnerabile come il nostro[2], qualora l’aggiustamento fiscale non fosse possibile, si ritroverebbe a dover quasi raddoppiare la crescita potenziale per abbassare i livelli di debito. Questo potrebbe spaventare ma, secondo gli analisti[3], il dividendo di crescita atteso dalla riuscita attuazione del piano italiano per la ripresa e la resilienza (RRP) da 238 miliardi di euro nell'ambito del Recovery Fund  giustifica un lieve miglioramento delle aspettative di crescita del PIL italiano. Quest’ultimo si concentra su maggiori investimenti pubblici abbinati a riforme chiave del sistema giudiziario della pubblica amministrazione e della concorrenza. Grazie a una leggera revisione delle previsioni di inflazione, il PIL nominale dell'Italia sembra ora destinato ad espandersi a +2,5% in media fino al 2036.
Ma tutto questo, in concreto, cosa potrebbe comportare per le aziende? Innanzitutto, i tassi di interesse che le banche applicano alle imprese di solito rispecchiano l’andamento di quelli fissati dalla BCE, ma sono influenzati anche da altri fattori, come la domanda e l’offerta di credito. Questo si traduce in quantità di denaro che le imprese intendono spendere e investire e dall’ammontare di credito disponibile. Tuttavia, al perdurare di una situazione di inflazione come quella attuale molte aziende si troveranno costrette - soprattutto se già esposte con le banche per poter sostenere i costi - a rifinanziarsi accedendo a nuovi finanziamenti a tassi d’interesse aggiornati.
A tutto ciò corrisponderebbe un relativo aumento dei costi di rientro dall’indebitamento e dei connessi costi per il rientro stesso. Il che potrebbe finire per inficiare la liquidità delle stesse, costringendole a chiedere ai propri fornitori un aumento del credito di fornitura e conseguentemente a dover concedere lo stesso ai propri clienti. Tutto ciò creerebbe sul mercato un allungamento dei tempi e un maggior rischio di insolvenze, con tutte le conseguenze prevedibili per quegli operatori di mercato le cui operazioni non sono assicurate, mettendo in grande difficoltà l’industria europea (compresa quella italiana), soprattutto in settori molto energivori.
E proprio il costo dell’energia rappresenta l’altra variabile che in questo particolare momento storico potrebbe dare il colpo di grazia a molte aziende dell’Eurozona.
Ad oggi, nella maggior parte degli stati UE, le misure di contrasto alla dilatazione dei costi per l’energia non superano la metà di quanto stanziato per la crisi pandemica. E anche se è atteso un probabile incremento dei fondi, proprio a causa dei tassi d’interesse di cui sopra, lo spazio di manovra è sempre più risicato. Questo rappresenta un problema non indifferente in quanto, a livello teorico, le misure di sostegno fiscale per contrastare l’inflazione dovrebbero contribuire a limitare il numero di imprese non finanziarie a rischio di insolvenza. Tuttavia l’attuale aumento dei prezzi dell’energia sembrerebbe in grado di vanificarle, annullando potenzialmente i maggiori profitti che ne deriverebbero. E proprio in base a ciò, sembrerebbe che molti governi siano disposti ad assecondare, tramite aiuti e agevolazioni per accesso al credito, l’attuale situazione di elevata leva finanziaria aziendale.
Insomma quello che si prospetta, e già in parte viviamo, è senz’altro un contesto complicato. Come abbiamo visto, bisognerà fare i conti con un aumento della leva finanziaria, dei costi di finanziamento e quindi del rischio sul credito. E infatti un primo riscontro sta già arrivando dal mercato reale dove si evidenziano, come non accadeva da tempo, le prime importanti segnalazioni di mancato pagamento e richieste di spostamento dei termini di scadenza delle fatture. Sta inoltre tornando “in voga” Il ricorso al credito di fornitura, ottenibile tramite un pagamento ritardato dei propri fornitori. Purtroppo l’esperienza ci insegna come il passaggio successivo sia costituito da un incremento rilevante delle insolvenze. Unico vantaggio è proprio il poterlo prevedere e agire di conseguenza, anche se è difficile capire quanto velocemente accadrà, ma i tempi per correre ai ripari potrebbero essere sempre più stretti.

[1] Cioè la differenza tra l'obiettivo di budget strutturale – vale a dire il budget annuale in percentuale sul Pil al netto dei fattori ciclici che un Paese dovrebbe avere al fine di centrare gli obiettivi di bilancio a medio termine e il budget strutturale effettivo stimato per un certo anno.
[2] L’attuale rapporto debito/PIL in Italia è del 151%
[3] Consulta: https://www.allianz-trade.com/it_IT/news-e-approfondimenti/studi-economici/pubblicazioni-economiche/debito-pubblico-dell-eurozona-la-realta-dei-tassi-d-interesse.html