Export e insoluti : quali prospettive d’investimento e come tutelarsi sui mercati esteri?
26.05.2022
Quella che stiamo vivendo oggi è senz’altro una situazione economica diversa da quanto qualsiasi previsione potesse anticipare anche solo poco più di due anni fa. Viene quindi da chiedersi in che modo l’attuale contesto internazionale potrebbe influenzare il mercato soprattutto dal punto di vista delle esportazioni, considerando il modo in cui la pandemia prima e il conflitto in Ucraina poi hanno impattato in modo differente sull’economia dei diversi paesi europei e non. E ancora, con quale grado di sicurezza si può provare a prevedere ciò che accadrà?
Può venire in soccorso, per cercare di orientarsi, l’ultimo rapporto di Allianz Trade Global Survey2022, frutto di due indagini effettuate rispettivamente prima e dopo l'inizio dell'invasione dell'Ucraina, coinvolgendo quasi 3.000 aziende e “tastando il polso” sulle esportazioni di cinque realtà come Stati Uniti, Cina, Regno Unito, Francia, Italia e Germania, per diversi motivi abbastanza
dissimili, seppur intrinsecamente legate tra loro in un mercato globale che sfuma sempre più i confini nazionali. Quello che è emerso è come quello che nel 2021 appariva, dopo le grandi riaperture post-covid, come un cauto ma ben radicato ottimismo, si sia nel 2022 trasformato per le aziende in un giustificato timore che l’anno in corso possa dimostrarsi problematico per gli esportatori. Una ridotta fiducia delle imprese e dei consumatori, l’aumento dei prezzi delle materie prime (in Italia fino al 46%) e, talvolta, le difficoltà di approvvigionamento, potrebbero far aumentare notevolmente il costo di esportazione per i mesi a venire riducendo in modo drastico i margini e, di conseguenza, le possibilità di esporsi a medio-lungo termine. Benché molte aziende, 6 su 10 tra quelle italiane, stiano cercando di trovare nuovi fornitori, di puntare sulla digitalizzazione delle strategie di esportazione e di diversificare gli investimenti, allargando gli stessi ad un più ampio ventaglio di mercati e paesi su e in cui esportare, il perdurare del conflitto rischia di mettere seriamente in pericolo la domanda di diversi beni e servizi, spingendo il commercio mondiale verso una possibile grave recessione, in cui peraltro sarebbe difficile, soprattutto in Italia, far seguire una politica di “aiuti a pioggia” nei confronti delle aziende, come successo durante la pandemia. Le reali incertezze da una parte e i timori del futuro dall’altra potrebbero portare ad una crisi delle esportazioni di diversi paesi che, come detto, finirebbero per generare un circolo vizioso capace di penalizzare anche realtà attualmente non coinvolte dal conflitto, rendendo in parte vana anche la ricerca di nuovi mercati da parte degli esportatori. Tutto ciò porterebbe con sé anche un alto rischio di mancati pagamenti o comunque di forti ritardi sugli stessi, con stime, sempre secondo Allianz, fino a dieci punti percentuali in più per il 2022, dati che dovrebbero spingere le aziende verso una naturale cautela. Tuttavia rallentare i flussi di merce verso l’estero potrebbe essere, per molte aziende, il colpo di grazia. Più saggio sarebbe invece continuare con le esportazioni e, se possibile, investire in nuovi mercati incrementando le stesse, tutelandosi con soluzioni personalizzate di assicurazione del credito su tutto il fatturato o sulle singole operazioni. Ma stringendo lo sguardo e approfondendo nel dettaglio, quali sono i mercati più promettenti per l’export del Bel Paese? Stando ai dati divulgati dall’Osservatorio economico d’interscambio commerciale del Governo, relativamente al primo bimestre dell’anno in corso troviamo due paesi europei dell’area Euro come Germania, al primo posto con un peso del 13,7%, e Francia (10,4%). Sull’ultimo gradino del podio gli Usa (9,5%), da sempre tra i mercati storicamente di riferimento per l’Italia. Seguono Spagna, Svizzera, Regno Unito, Belgio, Polonia e Paesi Bassi con un peso tra il 4,8 e il 3,1%. Per quanto riguarda il mercato asiatico troviamo Cina, al decimo posto con una quota del 2,6% e Giappone, che si attesta al quattordicesimo posto, pesando per 1,5% sull’export made in Italy. Solo al sedicesimo posto e destinata ad un crollo, almeno momentaneo, causa sanzioni, la Russia; nessun paese africano nei primi 30 posti. Questa la situazione attuale e probabile trend dei prossimi mesi. Come è facile evincere da quanto scritto fin qui, a rappresentare un effettivo rischio è il coinvolgimento, più o meno attivo, nell’attuale situazione geopolitica della maggior parte dei paesi che rappresentano i principali importatori dell’Italia. Oltre al fatto che un importante partner commerciale come la Cina, che pur non sostenendo la scelta bellica di Mosca ha deciso di non aderire alle sanzioni, possa decidere di dirottare parte delle sue risorse destinate all’import verso la Russia.
Quanto illustrato porta inevitabilmente a comprendere come assicurare i crediti commerciali sia una prassi strategicamente funzionale in questo particolare momento storico e destinata a diventare in futuro, in Italia (all’estero spesso già lo è), una prassi diffusa per far fronte ai rischi di scoperto in un’economia soggetta ad un numero sempre maggiore di variabili.
Può venire in soccorso, per cercare di orientarsi, l’ultimo rapporto di Allianz Trade Global Survey2022, frutto di due indagini effettuate rispettivamente prima e dopo l'inizio dell'invasione dell'Ucraina, coinvolgendo quasi 3.000 aziende e “tastando il polso” sulle esportazioni di cinque realtà come Stati Uniti, Cina, Regno Unito, Francia, Italia e Germania, per diversi motivi abbastanza
dissimili, seppur intrinsecamente legate tra loro in un mercato globale che sfuma sempre più i confini nazionali. Quello che è emerso è come quello che nel 2021 appariva, dopo le grandi riaperture post-covid, come un cauto ma ben radicato ottimismo, si sia nel 2022 trasformato per le aziende in un giustificato timore che l’anno in corso possa dimostrarsi problematico per gli esportatori. Una ridotta fiducia delle imprese e dei consumatori, l’aumento dei prezzi delle materie prime (in Italia fino al 46%) e, talvolta, le difficoltà di approvvigionamento, potrebbero far aumentare notevolmente il costo di esportazione per i mesi a venire riducendo in modo drastico i margini e, di conseguenza, le possibilità di esporsi a medio-lungo termine. Benché molte aziende, 6 su 10 tra quelle italiane, stiano cercando di trovare nuovi fornitori, di puntare sulla digitalizzazione delle strategie di esportazione e di diversificare gli investimenti, allargando gli stessi ad un più ampio ventaglio di mercati e paesi su e in cui esportare, il perdurare del conflitto rischia di mettere seriamente in pericolo la domanda di diversi beni e servizi, spingendo il commercio mondiale verso una possibile grave recessione, in cui peraltro sarebbe difficile, soprattutto in Italia, far seguire una politica di “aiuti a pioggia” nei confronti delle aziende, come successo durante la pandemia. Le reali incertezze da una parte e i timori del futuro dall’altra potrebbero portare ad una crisi delle esportazioni di diversi paesi che, come detto, finirebbero per generare un circolo vizioso capace di penalizzare anche realtà attualmente non coinvolte dal conflitto, rendendo in parte vana anche la ricerca di nuovi mercati da parte degli esportatori. Tutto ciò porterebbe con sé anche un alto rischio di mancati pagamenti o comunque di forti ritardi sugli stessi, con stime, sempre secondo Allianz, fino a dieci punti percentuali in più per il 2022, dati che dovrebbero spingere le aziende verso una naturale cautela. Tuttavia rallentare i flussi di merce verso l’estero potrebbe essere, per molte aziende, il colpo di grazia. Più saggio sarebbe invece continuare con le esportazioni e, se possibile, investire in nuovi mercati incrementando le stesse, tutelandosi con soluzioni personalizzate di assicurazione del credito su tutto il fatturato o sulle singole operazioni. Ma stringendo lo sguardo e approfondendo nel dettaglio, quali sono i mercati più promettenti per l’export del Bel Paese? Stando ai dati divulgati dall’Osservatorio economico d’interscambio commerciale del Governo, relativamente al primo bimestre dell’anno in corso troviamo due paesi europei dell’area Euro come Germania, al primo posto con un peso del 13,7%, e Francia (10,4%). Sull’ultimo gradino del podio gli Usa (9,5%), da sempre tra i mercati storicamente di riferimento per l’Italia. Seguono Spagna, Svizzera, Regno Unito, Belgio, Polonia e Paesi Bassi con un peso tra il 4,8 e il 3,1%. Per quanto riguarda il mercato asiatico troviamo Cina, al decimo posto con una quota del 2,6% e Giappone, che si attesta al quattordicesimo posto, pesando per 1,5% sull’export made in Italy. Solo al sedicesimo posto e destinata ad un crollo, almeno momentaneo, causa sanzioni, la Russia; nessun paese africano nei primi 30 posti. Questa la situazione attuale e probabile trend dei prossimi mesi. Come è facile evincere da quanto scritto fin qui, a rappresentare un effettivo rischio è il coinvolgimento, più o meno attivo, nell’attuale situazione geopolitica della maggior parte dei paesi che rappresentano i principali importatori dell’Italia. Oltre al fatto che un importante partner commerciale come la Cina, che pur non sostenendo la scelta bellica di Mosca ha deciso di non aderire alle sanzioni, possa decidere di dirottare parte delle sue risorse destinate all’import verso la Russia.
Quanto illustrato porta inevitabilmente a comprendere come assicurare i crediti commerciali sia una prassi strategicamente funzionale in questo particolare momento storico e destinata a diventare in futuro, in Italia (all’estero spesso già lo è), una prassi diffusa per far fronte ai rischi di scoperto in un’economia soggetta ad un numero sempre maggiore di variabili.