In che modo il cambiamento climatico sta impattando sull’economia?

12.12.2022

In che modo il cambiamento climatico sta impattando sull’economia? Quali conseguenze potrebbero avere sui mercati le azioni necessarie per fermarlo, specialmente su quello europeo? È possibile, e soprattutto conveniente, sopportare le difficoltà momentanee in nome del cambiamento?
La cosiddetta transizione verde, cioè una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, rappresenta senza ombra di dubbio la grande sfida che l’umanità si trova ad affrontare per il suo futuro, in gioco la sopravvivenza stessa della civiltà come la concepiamo. Ed è in questa ottica che è nato nel 2005, in seno all’UE, un piano di scambio emissioni, al fine di promuovere la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra in modo efficace in termini di costi ed economicamente efficiente. Nel dettaglio, le imprese devono ottenere quote di emissioni che coprano le rispettive emissioni di biossido di carbonio. Tale sistema limita il volume di gas a effetto serra che può essere emesso da industrie ad alta intensità energetica, produttori di energia e linee aeree. Le quote di emissione sono limitate ad un tetto massimo stabilito dall'UE, calcolato in un numero di quote, ognuna delle quali corrisponde ad una tonnellata di Co2, e le imprese ricevono o acquistano quote individuali. Le aziende che superano le emissioni previste sono quindi costrette, per poter continuare a produrre, ad acquistare quote da altre che, al contrario, ne abbiano in disavanzo, bilanciando così il sistema. Tale limite viene ridotto nel corso del tempo, così da limitare gradualmente la quantità di emissioni. Tuttavia, anche se non subito, si sono presentate dopo un tempo relativamente breve le prime falle nel sistema. Infatti, negli ultimi anni la crisi economica ha contribuito al calo delle emissioni e ridotto la domanda di quote di emissione.
Questo ha fatto sì che vi fosse una notevole diminuzione del prezzo del carbonio da una parte e l’accumulo di un'ingente eccedenza di quote nel sistema dall’altra, con il rischio che l’ETS[1], già nel 2019, incontrasse difficoltà nel fornire incentivi per ridurre le emissioni in una maniera efficiente in termini di costi. Detto ciò, la riduzione di almeno il 40% delle emissioni di gas a effetto serra nell'UE entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990) costituisce uno degli obiettivi concordati dal Consiglio Europeo nell'ambito del quadro 2030 per il clima e l'energia. Per raggiungerlo, l’ETS è stato “cambiato” prevedendo attualmente un unico limite europeo alle emissioni, decrescente del 2.2% annuo. Nessuna allocazione a titolo gratuito è inoltre prevista per i produttori di energia elettrica, ad eccezione degli Stati Membri in cui è necessaria la modernizzazione del settore elettrico e variazioni più dinamiche delle allocazioni a titolo gratuito basate su calo di produzione di ±15%.[2]
E se da una parte l’Unione Europea tende sicuramente a limitare la libertà delle aziende nella lotta contro il tempo per salvare il Pianeta, dall’altra tenta sempre di attuare una serie di politiche in grado di giovare a lungo termine alle aziende in questa transizione, anche tramite l’istituzione di una sorta di “green deal”[3]. Quest’ultimo è vòlto a fornire aiuto sotto diverse forme : dalla consulenza per le strategie e i piani d'azione per il clima ad un sostegno per la modellizzazione delle emissioni di gas serra, passando ad una particolare tutela di suolo, foreste e coste al fine di prevenire alluvioni, siccità ed eventi climatici estremi che, purtroppo, hanno già dimostrato in alcune occasioni la loro forza dirompente con ingenti danni al tessuto economico. Passando infine all’elaborazione di piani nazionali per l'energia e il clima e ad un importante sostegno economico, con la decarbonizzazione degli impianti elettrici in accordo con la progettazione di mercati e quadri normativi favorevoli alle energie rinnovabili.
Ma tutto questo che impatto potrebbe avere sull’industria europea? La necessità di essere maggiormente “green” e l’effettivo costo sempre maggiore di catene di approvvigionamento molto lunghe sembra stiano portando se non verso una deglobalizzazione, senz’altro verso un nuovo tipo di globalizzazione. La produzione stessa sta diventando meno importante in determinate economie per motivi che sarebbe complicato e lungo approfondire in questa sede[4]. Basti pensare ad esempio ai servizi in streaming di musica o cinema, che hanno finito per relegare al collezionismo i supporti fisici che per diversi decenni ne hanno consentito la fruizione. Automazione e tecnologia stanno, a loro volta, dettando i tempi del cambiamento.
Alla luce di quanto sopra, i vantaggi sul lungo termine di una transizione verso un’economia il cui impatto ambientale sia decisamente più etico sono innegabili. Questo con riferimento non solo al pianeta, ma anche all’industria stessa, che con catene di approvvigionamento più brevi e sistemi di produzione energetica alternativi a regime potrebbe giovarne sul piano dei costi. Certo, rimane da gestire il tempo della transizione i cui costi non possono, ma purtroppo rischiano, di pesare sulle aziende. Ma il processo di cambiamento è in corso e fermarlo non solo è improbabile, ma sarebbe alquanto sciocco. Affrontarlo, invece, muniti degli strumenti adeguati, è ciò che permetterà alle aziende più lungimiranti di vedere, oltre l’ostacolo, l’alba di una nuova economia.
Strumenti tra cui sicuramente si può annoverare un’efficace copertura assicurativa, ma non solo.
Lo stesso Green Deal europeo sottolinea come la transizione debba essere equa ed inclusiva, mettendo al primo posto le persone e prestando particolare attenzione al sostegno di quanti dovranno affrontare i problemi maggiori. Fornisce pertanto alcune linee guida[5] sia alle aziende, sia agli stati membri, come ad esempio come coordinare l'elaborazione delle politiche di transizione a tutti i livelli e in tutti i settori strategici pertinenti, comprese la ricerca e l'innovazione, al fine di creare un quadro politico integrato e favorevole che presti la dovuta attenzione agli effetti distributivi e alle ricadute positive e negative. O ancora, incoraggiare gli enti regionali e locali a svolgere un ruolo attivo nello sviluppo, nell'attuazione e nel monitoraggio delle politiche in materia di transizione equa, considerata la loro vicinanza ai cittadini e alle imprese locali.
Tornando alle aziende, molte di queste potrebbero giovare fin da subito del cambiamento, che finirà per incrementare il fatturato e l’occupazione in settori quali l'edilizia, le tecnologie dell'informazione e della comunicazione o le energie rinnovabili, attenuando nel contempo il protratto calo dei posti di lavoro che richiedono qualifiche medie a seguito dell'automazione e della digitalizzazione. Certo, per contro vi potrebbero essere progressive perdite di posti di lavoro in alcune attività minerarie o nella produzione di energia, a partire da combustibili fossili, nonché in alcune parti del settore automobilistico.  Ed è proprio in questi casi che le direttive dell’UE cercano di “guidare”, anche tramite finanziamenti, coloro che si mostrano in grado di fare progressi nella ristrutturazione e nell’adeguamento del business verso modelli sostenibili in grado di ricollocare parti di questa forza lavoro.
 
[1] European Union Emissions Trading System
[2] VEDI: https://www.esg360.it/esg-world/ets-come-funziona-il-mercato-delle-emissioni-di-co2-in-europa/
[3] VEDI: https://reform-support.ec.europa.eu/what-we-do/green-transition_it
[4] Illuminante a riguardo si mostra questo articolo per l’istituto per gli studi di politica internazionale dell’economista Marc Levisson https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/verso-un-new-normal-32757
[5] https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2022/06/16/council-takes-action-to-ensure-green-transition-is-fair-and-inclusive/